L’ANALISI – Decreto Salvini, quando il razzismo diventa istituzionale

Il 5 ottobre scorso è entrato in vigore il Decreto-legge 113/2018, il cosiddetto Decreto Salvini, che apporta alcune rilevanti novità in merito all’accoglienza di richiedenti asilo.

Molti sono i punti in discussione: tra i più controversi ritroviamo, ad esempio, l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e la sua conversione in permesso di soggiorno per “protezione speciale”, con validità annuale, nel caso in cui la Commissione territoriale ritenga sussistenti il rischio di persecuzione o tortura nel paese d’origine.

Vengono poi introdotti una serie di permessi di soggiorno nuovi, tra cui il permesso di soggiorno per cure mediche, per calamità, per “atti di particolare valore civile”.  Si parla poi di “casi speciali” per alcune tipologie di permesso di soggiorno che rientravano nella fattispecie della protezione umanitaria, nello specifico permessi per protezione sociale (vittime di tratta – in casi di “accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno di tali delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio”), per vittime di violenza domestica o per particolare sfruttamento lavorativo.

Si evidenzia su questo tema come solo i permessi per casi speciali e valore civile potranno essere convertiti in permessi di lavoro.

Passando al sistema dell’accoglienza,  si ristabiliscono le regole di accesso allo SPRAR  (sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, progetto nazionale costituito dalla rete degli enti locali che con il supporto delle realtà del terzo settore garantiscono interventi di accoglienza integrata a donne, uomini e minori richiedenti protezione internazionale): attraverso Il dl 113/2018 potranno accedere a strutture SPRAR solo i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria), i minori non accompagnati, i titolari di permesso di soggiorno per cure mediche, calamità, atti di particolare valore civile o casi speciali. Si escludono quindi i richiedenti asilo e titolari di protezione umanitaria, casi speciali o protezione speciale: i primi saranno destinati esclusivamente ai CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria, gestiti dalle prefetture, il cui scopo è fornire una prima accoglienza ai richiedenti asilo), mentre coloro già in possesso di un permesso di soggiorno sono tenuti ad uscire dalla struttura entro sette giorni dall’ottenimento del permesso.

Continuando, importanti variazioni si verificano per quanto riguarda l’accesso ai servizi: il permesso di soggiorno rilasciato al richiedente asilo ora costituisce anche documento di identificazione ma, al tempo stesso, non è più titolo per ottenere l’iscrizione anagrafica, che viene, di fatto, eliminata; ne consegue, tra l’altro, che al richiedente asilo non potrà più essere rilasciata la carta di identità.

Secondo il decreto, “l’accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi delle norme vigenti è assicurato nel luogo di domicilio”.

Infine, a fronte di drastici tagli al sistema dell’accoglienza, si rimpingua progressivamente Il Fondo per i Rimpatri, incrementato di 500mila euro per il 2018, di 1.500.000 euro per il 2019 e di 1.500.000 euro per il 2020; si prevede l’istituzione di un centro per i rimpatri (CPR, i vecchi CIE) per regione, e si prolunga la permanenza in quest’ultimi dai 90 giorni ai 180. Si specifica inoltre come, qualora non fossero disponibili posti nei CPR, si utilizzeranno “strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza”, vale a dire le carceri.

Nei quasi due mesi trascorsi dalla pubblicazione del decreto sono moltissime le critiche e mobilitazioni contro la manovra: “lampante la volontà di restringere i diritti e le libertà degli individui e di creare nuove forme di tensione sociale”, denuncia ASGI, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, che denuncia i molti elementi di incostituzionalità presenti nel decreto, a partire dalla scelta politica di ricorrere ad un istituto (il decreto-legge), da utilizzarsi in particolari situazioni di urgenza ed emergenza, ed emanati dal governo. Il decreto-legge è provvisorio per sua natura: il termine è di 60 giorni per permettere al Parlamento di approvarlo o cancellarlo, ma entra in vigore dalla sua pubblicazione.

Sono poi state mosse numerose obiezioni all’abrogazione del permesso per motivi umanitari, rilasciato finora a circa un quarto dei richiedenti in Italia; esso si traduceva in uno dei modi per applicare l’articolo 10 della costituzione, quello che garantisce il diritto d’asilo, ed era rilasciato per “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”, oppure alle persone che fuggono da emergenze come conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in paesi extra UE. Tale definizione, che ha lasciato ampi margini interpretativi, consentiva di attribuire il permesso in una varietà di casi, che sono, con il decreto, drasticamente ridotti, semplificati e specifici. L’impossibilità di convertire un gran numero dei nuovi permessi (peraltro tutti di breve durata) in permessi di soggiorno per lavoro condanna di fatto anche la persona che ha ottenuto il documento a non potersi evolvere dalla sua condizione di migrante ex richiedente asilo.

Anche da parte delle amministrazioni locali, tramite l’ANCI e i gestori del sistema SPRAR, è arrivata la bocciatura: è infatti evidente come la contrazione dello SPRAR, riconosciuto unanimemente come un’istituzione efficace per l’integrazione diffusa dei suoi ospiti, con standard rigorosi di erogazione dei servizi unito a un attento controllo della spesa, avrà pesanti ricadute sui territori e sui loro servizi. La contrazione dei fondi stanziati per l’accoglienza costringerà i CAS a limitare i servizi a quelli essenziali, smantellando tutte quelle fondamentali misure vero motore dell’integrazione, dall’offerta di corsi di italiano, all’assistenza legale o sanitaria.

Sull’accesso ai servizi, sempre secondo ASGI, il divieto dell’iscrizione anagrafica “introduce una irragionevole discriminazione rispetto agli altri stranieri in possesso di permesso di soggiorno che, in presenza di dimora abituale o domicilio effettivo (come quello dei richiedenti asilo), sono obbligatoriamente iscritti alle anagrafi delle popolazioni residenti a condizione di parità coi cittadini italiani”.

Quante sono le situazioni che nella nostra vita ci richiedono di presentare una carta di identità, o necessitano della residenza anagrafica? Dall’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, per poi passare al Centro per l’Impiego, per la redazione dell’ISEE o per l’iscrizione dei figli a scuola. La mancata iscrizione anagrafica comporta serie difficoltà di gestione della vita quotidiana sia per i richiedenti, che per i dipendenti dei servizi, che dovranno al più presto adeguarsi al fatto che il permesso di soggiorno costituisce l’unico documento identificativo a loro disposizione. Secondo ASGI “È tuttavia probabile che, erroneamente, molti enti continueranno a richiedere la residenza, ostacolando gravemente l’accesso dei richiedenti asilo a tutti quei servizi ai quali per legge hanno diritto sulla base del domicilio”. Volendo poi allinearsi con l’idea che la presenza di migranti sui territori vada controllata, con questo provvedimento i Comuni non avranno più la possibilità di verificare esattamente quanti e chi siano i richiedenti presenti.

In conclusione, appare evidente come il decreto miri a non solo svuotare quegli istituti che, faticosamente, negli anni, hanno contribuito a creare un modello per l’accoglienza, ma anche a rendere di faticoso se non impossibile accesso alcuni diritti, che si rivelano ora, tutt’altro che universali. Il nostro Paese si prepara a diventare sistematicamente più inospitale, e la legislazione così declinata genererà inevitabilmente una moltitudine di migranti irregolari, a fronte però dell’impossibilità di procedere con quei rimpatri tanto sbandierati dalle destre. I rimpatri comportano infatti un massiccio lavoro amministrativo e diplomatico di raccordo con i paesi di origine, che risulta ancora molto lontano dal realizzarsi.

Dal decreto risulterà una maggiore esclusione sociale, meno integrazione, e, in ultimo, una insicurezza generalizzata, in antitesi con il titolo stesso del provvedimento, ma forse in allineamento con le imminenti elezioni europee, alle quali la Lega arriverà cavalcando l’onda degli effetti nefasti della manovra.

Per approfondire:

www.asgi.it

www.meltingpot.org

www.sprar.it

Aurora Dall’Olio